Sono nato in una famiglia credente e sono il penultimo di otto figli. Mia madre conobbe il Signore proprio mentre era incinta di me, quindi, in casa mia, l’Evangelo veniva predicato e praticato ogni giorno. Tuttavia, io non ho mai provato il minimo interesse verso tutto ciò che riguardava il Signore. Ricordo che da ragazzino non mi piaceva frequentare le riunioni di culto e, tanto meno, sentire parlare così spesso di Dio: volevo vivere semplicemente la mia vita. All’età di 12/13 anni, mia madre mi costringeva ad accompagnare le mie sorelle ai culti presso la comunità di Milano. A me veniva il mal di testa solo al pensiero, così, ci andavo ma non entravo con loro nella comunità: mi sedevo nel bar di fronte, aspettando la fine della riunione. Tutto questo è andato avanti per qualche anno, fino a che, all’età di 14/15 anni decisi di non andare più in chiesa. Questo non significò che in quegli anni non vi ho mai “messo più piede”: ci sono andato soltanto quando i miei fratelli e le mie sorelle si sono sposati. Questo mio stile di vita è andato avanti fino all’età di 28 anni. Posso dire che gli anni più bui della mia vita sono stati quelli tra il militare e la mia conversione, proprio perché in quel periodo non avevo più la voglia di vivere, non mi piaceva nulla; sentivo dentro me un vuoto incolmabile; ero costantemente insoddisfatto di come andavo avanti e mi sentivo dentro troppo sporco. Quello che mi ripetevo sempre era questo: “Se questa è la vita, è meglio morire che continuare a vivere così!”. In quel periodo, anche la voce del nemico mi sussurrava di farla finita. Molto spesso ero in macchina e sentivo questa voce che mi diceva di uscire fuori strada. Altre volte, quando uscivo sul balcone di casa mia, ancora quella voce mi sussurrava “Buttati giù!”. Però, ogni volta che nella mente affiorava il pensiero di non vivere più, di farla finita, sentivo anche un’altra voce, molto chiara, che mi diceva “Guarda che hai un’anima!”. Capivo che quella voce era la voce del Signore, di conseguenza Gli rispondevo: “Signore, salvami l’anima e fammi morire, perché non ce la faccio più a vivere questa vita!”. Questi pensieri, le voci che continuavano a rimbombare nella mia mente, mi hanno tormentato per tre anni prima della conversione. E più il tempo passava, più quella voce che mi continuava a dire di farla finita, diventava sempre più insistente e sempre più forte: se prima la percepivo ogni due/tre mesi, in quel periodo la sentivo più volte alla settimana. Inoltre, a quell’epoca, non vivevo nemmeno una vita “giusta” sotto l’aspetto morale e tutto era diventato soltanto un grosso macigno che non riuscivo più a sopportare. Così, qualche volta, all’insaputa dei miei familiari, che continuavano a pensare che io del Signore non ne volevo proprio sapere, quando mi trovavo da solo in macchina, gridavo a Dio per ricevere un Suo aiuto affinché intervenisse nella mia vita: ma non successe mai nulla.
Un giorno nel dicembre del 1981, mi svegliai e mia madre mi disse che non si sentiva molto bene. Cercando di non dare troppo peso alla cosa, le dissi di non preoccuparsi perché non era nulla di grave. Chiamai mia sorella Attilia e le chiesi di stare con nostra madre, poi uscii. La sera, verso le 17, ritornai a casa e ricevetti una brutta notizia: mia madre era stata portata, nel corso della giornata, ben due volte all’ospedale ma non l’avevano ricoverata perché non le avevano riscontrato “nulla”; tuttavia, i miei fratelli, vendendo che lei si era sentita ancora male, la riportarono per la terza volta al pronto soccorso. Questa volta la tennero: aveva avuto un ictus ed era entrata in coma. Sebbene non l’avevo mai dimostrato, ero molto legato a mia madre e quando seppi che era in coma, mi precipitai in ospedale, cercai di parlarle ma lei non capiva più nulla. In quel momento, mi sono sentito come se tutto il mondo mi fosse crollato addosso. Incominciai ad invocare il Signore ma probabilmente lo facevo nel modo più sbagliato. Lo pregavo chiedendoGli che se Egli avesse guarito mia madre, mi sarei convertito. Ma quando facevo questa semplice richiesta, sentivo un muro da parte di Dio, come se Egli mi facesse capire che mi stava ascoltando ma non poteva concedermi quanto Gli stavo chiedendo. Anzi, percepivo che la volontà del Signore era proprio completamente diversa dalla mia; sentivo forte la Sua voce che mi diceva: “Io prendo tua madre per salvare te!”. A quell’affermazione rispondevo di prendere me perché io ero un peccatore e non meritavo di vivere, non mia madre: lei era una Sua figlia e meritava la vita. Ma il Signore continuava a farmi comprendere che la Sua volontà era diversa: Lui avrebbe preso mia madre per salvare me. Andai avanti con questa mia lotta interiore per un giorno e mezzo. L’indomani a mezzogiorno decisi di fare un giro in macchina e in quell’occasione, per la prima volta, sentii la presenza potente di Dio nella mia vita. Fino a quel momento, non avevo mai sentito il Signore: è vero, avevo frequentato i campeggi, la Scuola Domenicale, qualche culto, ma non potevo dire che il Signore mi aveva
benedetto o che l’avevo sentito dentro di me. Quel giorno, quindi, presi la macchina e mi fermai ad un incrocio davanti ad un semaforo: era rosso. Mentre aspettavo, incominciai ad osservare le persone ferme al semaforo e quelle che passeggiavano nella piazza vicina. E mentre li guardavo, iniziai a pensare: nessuno è solo, minimo sono in due; hanno tutti dei visi felici e sereni e si sorridono l’uno con l’altro; tutti mi sembrano così contenti ed io mi sento triste, solo e disperato. E mentre osservavo questo, quella voce chiara, che ogni tanto sentivo, mi sussurrò che le persone che stavo osservando, non mi potevano aiutare; nessuno di quelli mi poteva consolare. Improvvisamente, ebbi una specie di visione: mi vidi sul marciapiede, disteso a terra, con la mano tesa in segno di aiuto; le persone mi passavano accanto ma nessuno mi guardava e, tanto meno, nessuno stendeva la propria mano per aiutarmi. Allora, io sentii Dio parlarmi chiaramente dicendomi che quello che vedevo era il mondo e nessuno, che apparteneva a questo mondo, era in grado di aiutarmi e consolarmi. In quel momento, crollarono le mura che circondavano il mio cuore e le scaglie che avevo sui miei occhi. Mi resi conto che le persone che stavo scrutando prima, facevano parte di quel mondo di cui Dio mi parlava ma anche che io stesso facevo parte di quel mondo. Le persone di cui mi ero, fino ad allora, circondato, non mi potevano aiutare. Dio, in poche parole, mi stava facendo comprendere che per me c’era solo e soltanto Lui! In quell’istante, feci un semplice preghiera: chiesi al Signore di avere pietà di me perché non volevo far più parte di quel mondo. Successe qualcosa di indescrivibile: dall’alto mi sentii proprio che Dio stava entrando dentro me; mi sono sentito come un secchio pieno di acqua sporca a cui, dall’alto, vi versavano dentro acqua pulita e pian piano tutta quella sporcizia usciva. Era come se tutto lo “sporco” dentro me stava uscendo e qualcosa di nuovo e puro entrava e mi riempiva completamente. Questa bellissima esperienza durò pochi secondi: il tempo che il semaforo diventò verde. Quando scattò il verde, ripartii con la macchina, con gli occhi pieni di lacrime di gioia e di commozione, ripetendo continuamente: “Signore adesso so che ti sei preso cura di me!”. In quel momento, ho davvero sperimentato la presenza di Dio nella mia vita: quel semaforo rosso per me significava “Fermati!”; il semaforo verde, invece, “ora puoi andare avanti”. Dio, fino a quel momento, mi aveva messo tanti semafori rossi davanti ma io ero sempre passato con il rosso. Ora, era arrivato il tempo in cui mi dovevo fermare, conoscerLo e ricominciare a camminare con Lui. La mattina dopo, alle due, ricevetti la notizia che mia madre era andata con il Signore. Dentro di me sentivo una pace profonda e non riuscivo a comprendere bene come non sentivo tanta sofferenza. Ho pensato che forse non volevo poi così tanto bene a mia madre. Ma non era così: quella pace veniva proprio dal Signore.
La domenica dopo il funerale, c’era il culto nella comunità di Bollate. Io sentivo un grande desiderio di andare in chiesa quella mattina ma il mio orgoglio me lo impediva: in quella comunità c’erano tutti i miei parenti che ancora non sapevano nulla della mia esperienza davanti al semaforo. Tuttavia, Dio mi è venuto incontro. Quella mattina, mia cognata mi invitò ad andare con loro al culto. Sebbene volevo dirle di sì, le risposi, sempre per orgoglio, di no, che non avevo voglia. Mia cognata continuava ad insistere ma io, restando nel mio orgoglio, continuavo a risponderle che non mi andava. Nel frattempo, mio fratello era andato nel suo box a mettere in moto la macchina che aveva da poco acquistato: questa non partiva. Ritornò su e me lo disse, così, presi la palla al balzo, e mi offrì per accompagnarli al culto. Per strada, mio fratello e mia cognata insistevano ancora perché io rimanessi ad assistere alla riunione e alla fine, acconsentii. Quella domenica, nella comunità, era stato invitato un fratello che veniva da Napoli. Finito di predicare, ci fu un appello che sentii proprio per me. L’appello invitata coloro che volevano accettare Gesù, ad alzare semplicemente la propria mano. Ero all’ultimo posto, in piedi. In quel momento alzai la mia mano e mi lasciai andare completamente tra le braccia del Signore. Da quella mattina, tutto cambiò: iniziai a frequentare assiduamente le riunioni di culto e di preghiera e incominciai a leggere costantemente la Bibbia. Penso proprio che “qualcuno” non aveva permesso che la macchina di mio fratello partisse quella mattina: infatti, quando siamo ritornati a casa, lui si recò subito in box per vedere se la macchina partiva e… funzionava perfettamente! Il venerdì, andai alla serata di preghiera con una richiesta nel cuore: ho pregato, infatti, il Signore affinché potessi sentire che Egli mi aveva perdonato. Durante la serata, sentii un fuoco bruciarmi dentro e capii chiaramente che il Signore mi aveva perdonato interamente. Il venerdì successivo, chiesi al Signore di battezzarmi con lo Spirito Santo ed Egli non venne meno a quella mia preghiera: in quella serata, Dio mi liberò completamente e mi battezzò con il Suo Santo Spirito. Da quel momento ho iniziato a servire costantemente e praticamente il Signore: non solo frequentavo assiduamente le riunioni di culto e di preghiera (ed eventuali riunioni extra); mi sentii anche il cuore di formare un “gruppo evangelistico” con lo scopo, proprio, di andare per le strade e per le piazze, e parlare di Gesù a quanti ancora non lo conoscono. La mia conversione è stata radicale! Quando tornai al lavoro, i miei colleghi non mi riconobbero più: alcuni dicevano che ero diventato pazzo; altri dicevano che avevo subito una grande shock; altri ancora che era una questione di tempo, e sarei tornato come prima… ma tutto ciò non è accaduto!
Non ho mai desiderato diventare un pastore. Dopo la mia conversione, i miei obiettivi erano ben diversi: volevo restare nella comunità di Bollate e servire il Signore lì, principalmente nel campo evangelistico. Molti anni prima, dopo solo cinque mesi convertito, il Signore mi parlò attraverso un sogno dicendomi che in un tempo ben preciso, “avrebbe voluto la chiesa staccata dal mondo”. Io non capii bene quel sogno: essendo da poco convertito, non riuscii a comprendere che era nella volontà del Signore chiamarmi a servirLo tramite il ministero di Pastore. Nel 1992, nacque un piccolo gruppo a Rho. A quell’epoca, ero uno dei consiglieri della comunità di Bollate e così, con gli altri membri del Consiglio, ci alternavamo nello svolgere i culti presso questo gruppo di fratelli che si stava formando. Tre mesi prima che mi scegliessero come pastore, soltanto il pensiero di lasciare la comunità di Bollate, mi spaventava e mi portava a desiderare che i fratelli scegliessero qualcun altro. Ma poi, qualche giorno prima di quella scelta, dentro me, improvvisamente, provai una profonda pace, tanto che iniziai a pensare che se mi avessero scelto, sarei stato felice. E così fu: i fratelli mi scelsero come loro pastore e iniziai il ministero nel marzo 1992.
In questi anni, ci sono stati sia momenti di grande gioia e altri momenti di afflizione. Momenti in cui sono stato costretto a riprendere qualcuno e non è stato molto piacevole. Ci sono state delle situazioni in cui ho provato profonde delusioni. Ma ho sempre pensato che se il Signore ti pone in un determinato posto e ti manda direttamente Lui ad esercitare un servizio, Egli ti dona anche la forza di sopportare ogni cosa, la capacità per andare avanti, per continuare ad amare sempre e comunque e di non avere mai nel cuore nessuna radice velenosa o sentimenti di rancore. In questi 23 anni che servo il Signore come pastore, non ho mai sentito il peso del ministero. Non c’è stato mai un giorno in cui abbia detto che “questo servizio è troppo pesante da portare avanti” o “chi me lo fa fare a continuare con questo incarico”. Anzi, ho sempre avuto la gioia di servire il Signore e la comunità che Egli mi ha affidato, anche nei momenti più difficili. Non mi sono mai tirato indietro, sebbene ho passato qualche notte insonne. Credo che quando Dio chiama al ministero, equipaggia i Suoi servi nel modo giusto per poter sopportare ogni cosa; tuttavia, bisogna sempre stare vicini a Lui. È normale che se vivo lontano da Dio, sento maggiormente il peso, per esempio, di una delusione. Se invece, sto vicino al Signore, quella delusione mi colpisce, è vero, ma nello stesso tempo sperimento anche il conforto di Dio in modo, poi, da poter consolare quelli che sono nell’afflizione, come scrive l’apostolo Paolo: “Dio ci ha consolati e dunque possiamo consolare pure noi…(?)”.
L’incoraggiamento che voglio dare alla mia comunità è quello di cercare sempre l’unità: non mi piace che ci possono essere divergenze tra i fratelli. Un’altra esortazione che desidero fare è quella di stare sempre insieme con coloro che “di cuor puro invocano il Signore”; nel senso che, se c’è qualcuno che “zoppica” nel nostro mezzo, va sì aiutato, sostenuto ed incoraggiato, ma non bisogna compromettersi con questi; non bisogna lasciare il passo. È necessario restare uniti a quelli che amano Dio, la preghiera, frequentare i culti, servire il Signore con tutto il cuore, per custodire quel tanto che Dio ci dona. Penso proprio che questo sia il “segreto” per avanzare ogni giorno sempre di più con il Signore.